Gubbio
In mostra le opere della pittrice
Miriam Ferrucci
Rivista d'Arte & Cultura "Art&trA"
pag 60-61
Rivista d'Arte & Cultura "Art&trA"
(bimestre giugno-luglio-Acca Edizioni)
Annuario d'Arte Moderna 2018
Miriam Ferrucci,
premiata all’unanimità dal comitato scientifico
presieduto dal Prof. Francesco Buttarelli,
dal Dott. Alimberto Torri, dalla Dott.ssa Marilena Spataro
e dal Dott. Alberto Gross.
Catalogo e critica d’arte a cura del prof. Emidio Di Carlo
Intervista
a Miriam Ferrucci
durante la mostra collettiva
CONTESTUALMENTE 15
RECENSIONE di Silvana Bonfili
Un insieme, spesso contrastante, di emozioni caratterizza i dipinti di Miriam Ferrucci,
in mostra presso la Galleria l’Acquario di Via Giulia a Roma, opere realizzate negli
ultimi cinque anni partendo dalla tecnica del fotorealismo.
Un’immagine fotografica, che Miriam stessa realizza “obbligando” il soggetto
a una posa da lei stessa suggerita, viene poi, in studio, riprodotta
sulla tela, elaborando con perizia e lunghe ore di lavoro con il pennello,
ciò che l’obiettivo ha carpito: “Nei soggetti che dipingo cerco sempre di ritrovare qualcosa di me stessa un ricordo, un‘emozione che
vorrei fermare nel
tempo e riportare a nuova vita, interpretati e mediati dalla mia pittura” L’artista stessa con queste parole ci conduce attraverso i segreti della sua arte, non siamo, come ad un primo e superficiale sguardo sembrerebbe, di fronte a delle opere iperrealiste, riproduzioni virtuosistiche della fotografia, di ben altra carica emotiva vivono i protagonisti ritratti dalla Ferrucci. Alcuni dettagli dei corpi e dei volti vengono così messi a fuoco attraverso espressioni o gestualità esasperati, per esaltare emozioni nascoste, ciò che l’obiettivo fotografico non avrebbe mai rivelato, la mano talentuosa dell’artista fa emergere, per poi narrare una rabbia incontenibile, un segreto da tutelare, una malinconia che lascia trapelare il rammarico per l’ineluttabile passare del tempo o una consapevolezza interiore conquistata. Donne e uomini che sfidano la tela e fanno emergere la loro vitalità, che diventa tangibile e reale, le emozioni forti e potenti si trasmettono come in un transfert dalla persona rappresentata a chi guarda i dipinti. Un uomo con la barba, viene ritratto nelle tele Out e
Corpo a corpo in preda ad un clamoroso sfogo di dolore misto a rabbia, in particolare colpisce la triplice rappresentazione del soggetto (Corpo a corpo) come in una sequenza fotografica, tre frame che sintetizzano sentimenti laceranti quasi insopportabili allo sguardo di chi osserva. Se il linguaggio pittorico è cinematografico e moderno l’impostazione del dipinto rievoca il cinquecentesco Triplice ritratto di orefice di Lorenzo Lotto, dove l’orefice barbuto, riprodotto in tre differenti pose sembra attraverso gesti pacati e sguardi enigmatici mettere in discussione l’unicità e l’identità del proprio essere, così come l’uomo contemporaneo della Ferrucci sembra urlarci la propria angoscia e la sensazione che nessuno possa essere in pace con se stesso. La rappresentazione del femminile suggerisce all’artista una riuscita carrellata di personaggi, e così Rosa, Ophelia e le altre evocano altre storie e altre narrazioni. Se la raffigurazione della giovane donna ne L’angolo, è certamente riferibile a un episodio di violenza, il dipinto Dal profondo ci mostra attraverso l’esaltazione dei
dettagli della bocca - il primo piano di gengive, denti e papille gustative - un grido di rabbia che diventa liberatorio. Via via questi volti femminili ci inoltrano in abissi interiori e ombre ora visibili dell’anima: la sfida nello sguardo impenetrabile degli occhi, contornati a suggerire una mascherina, del ritratto Anima, l’evanescenza dell’essere che ci suggerisce Ophelia o il senso della caducità e della fragilità della bellezza nel malinconico ritratto di Rosa. Una maturità anche stilistica contraddistingue il doppio ritratto Ritiro, come a conclusione di un percorso identificativo la Ferrucci predilige la duplice rappresentazione di uno stesso soggetto, ancora il gioco del moltiplicarsi, il motivo archetipo del doppio che evoca l’incessante ricerca della propria identità, identificazione e alienazione, il confrontarsi con la propria Ombra (Jung) e infine la raggiunta armonia tra inconscio e coscienza. Tutto questo ci suggerisce la giovane donna dai lunghi capelli rossi che si disgiunge da se stessa, libera, immersa nella calma contemplativa nella piena consapevolezza del sé.
RECENSIONE di M.G. Castrillo
Il lavoro di Miriam Ferrucci
si presenta fin dal primo sguardo un continuo lavoro di “scavo”,
un andare avanti e tornare indietro a se stessa, dirigendosi
verso l’alto e ripiombando in basso, comunque percorrendo
sempre, senza tregua, la via che porta dall’inconsapevole - OUT
-
al consapevole - IN. Ricorrendo a pennellate forti e incisive,
sui volti rappresentati leggiamo appassionate riflessioni
sul senso dell’esistenza nella contemporaneità. Il
risultato è che le immagini da cui è raggiunto lo
spettatore sono volti e corpi privati della loro
identità in nome di un’umanità che sembra non avere più
alcuna capacità di attrarre. La deformazione dei tratti,
le pose innaturali dei modelli, la scelta dei colori si
combinano con
suoni striduli e sgraziati che erompono da bocche e da
gole
obbligate, forzate a tirar fuori la voce. La forza primitiva e viscerale delle immagini impresse sulla tela conducono tutti noi spettatori, anzi sperimentatori, nella direzione già prima percorsa dall’artista, spingendoci sullo stesso sentiero, seguendo il filo della sua narrazione: una particolare percezione del reale. In una cultura come la nostra, omologata e disorganica, che elegge la provvisorietà a sistema, la figura umana può divenire il tramite per affrontare un dialogo. In questo contesto l'arte può aprire uno spazio per riguadagnare l'identità menomata. Da questo incontro di pulsioni in fermento, nasce per l’artista la possibilità di intravedere una direzione ancora possibile: riscattare la propria e l’altrui identità, addentare la matassa della vita.
Intervento di
Donatella Cataldi (giornalista RAI)
e dott.ssa Paola Prosperi (psicologa)
alla mostra d'arte OUT-IN
RECENSIONE di F. Laurini
Le opere di Miriam Ferrucci, presentate in questa personale,
rappresentano le tappe di una ricerca che da alcuni anni l’artista conduce nel campo dell’incisione.
Le figure, immerse in uno spazio reale, rimandano l’osservatore ad una dimensione immaginaria del tempo,
dove la memoria diventa identità e le immagini propongono un continuo confronto tra la vigile razionalità del suo occhio e la dimensione spirituale ed esistenziale.
RECENSIONE di G. D'Orefice
In Ferrucci è manifesto l’interesse per una “sensualità plastica”, che si traduce in un’analisi minimale e di ricerca delle forme calate in atmosfere avvolgenti, misteriose, decorative e in ambientazioni geometriche, tanto accurate quanto essenziali. Emerge così, una carrellata di immagini che si estrinsecano sia attraverso particolari stati d’animo, che in momenti di vita vissuti.
L’esito di questo percorso è la proposta di una ricomposizione dell’individuo attraverso l’emersione della propria memoria di frammenti emotivamente significativi dell’esperienza, assemblati con la forza e l’intuizione generati da una ricerca positiva nei confronti dell’esistenza.
L’uso delle tecniche dell’incisione, sottolinea l’interesse di sperimentare la libertà creativa del segno e le suggestioni chiaroscurali del bianco e nero, il cui esito pone in rilievo la tensione esistenziale generatrice d’immagini.
RECENSIONE di Paolo Marazzi (scultore)
Nell’opera grafica di Miriam Ferrucci si nota l’uso sapiente della tecnica dell’incisione.
Nelle sue figure si scopre una ricerca dell’anatomia che a volte sprofonda nella gestuale tridimensionalità
scultorea fondendosi con minuziosi arabeschi. L’esaltazione del particolare, eseguito con particolare maestria,
porta l’optional dell’abbigliamento al rango di opera d’arte.
RECENSIONE di
Hans Werner Henze (compositore)
Sono rimasto molto piacevolmente sorpreso dalla conoscenza della personalità artistica di M. Ferrucci, che già da queste prima esperienze mi sembra rivelare un innegabile talento grafico unito ad una raggiunta perizia tecnica, che l’artista sa mettere molto efficacemente al servizio di un suo personale e accattivante mondo d’immagini, frutto di consapevole e mai banale scelta.